IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 14 ottobre 1994 sul ricorso n. 828/94 proposto da Gruden Andrej, Vidoni Paolo, Gustin Emilio, MahnicXX Sergio, Savron Danilo, rappresentati e difesi dal dott. proc. Peter MocXXnik, con domicilio eletto in Trieste, via XXX Ottobre, 13, contro il Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica, il Commissariato del Governo e la regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del commissario pro-tempore, la prefettura di Trieste, in persona del prefetto pro-tempore, tutti rappresentati e difesi dall'avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege; e nei confronti: della provincia di Trieste, in persona del presidente della giunta provinciale in carica, non costituita in giudizio; del comune di Trieste, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alma Cognito e Maria Serena Giraldi, con domicilio eletto nella sede municipale in Trieste, piazza dell'Unita' d'Italia, 4; del comune di Muggia, in persona del sindaco in carica, non costituito in giudizio; del comune di S. Dorligo della Valle - Dolina, in persona del sindaco in carica, non costituito in giudizio; del comune di Monrupino - Repentabor, in persona del sindaco in carica, non costituito in giudizio; del comune di Sgonico - Zgonik, in persona del sindaco in carica, non costituito in giudizio; del comune di Duino Auridina - Devin NabrezXXina, in persona del sindaco in carica, non costituito in giudizio; per l'annullamento - previa sospensione dell'esecuzione - del decreto del prefetto della provincia di Trieste prot. n. 4/3/8/803 del 22 settembre 1994 di convocazione del consiglio provinciale di Trieste e per l'elezione diretta del presidente della provincia di Trieste, nonche' dei presupposti decreti del commissario del Governo nella Regione Friuli-Venezia Giulia dd. 20 marzo 1989, con cui e' stata, da ultimo, modificata la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per l'elezione del Consiglio provinciale di Trieste (nonche' dei precedenti decreti sulla medesima materia) e del Ministro dell'interno prot. n. 09405275 dd. 1 settembre 1994, con cui viene fissata la data di alcune consultazioni elettorali, fra cui quelle, che ne occupano, in quanto richiamano o fanno comunque applicazione del decreto del commissario generale del Governo per il territorio di Trieste n. 81, dd. 24 marzo 1956, con cui viene estesa alla zona della provincia di Trieste, acquisita allo Stato italiano, la legge 8 marzo 1951, n. 122, che regola l'elezione dei consigli provinciali, nella parte in cui, nell'operare detta estensione, ne eccettua l'art. 9, sostituito da un diverso testo, che omette, cio' che in questa sede piu' interessa, il secondo comma della norma predetta, e che stabilisce altresi' che la fissazione della tabella delle circoscrizioni dei collegi e' fatta con decreto del predetto commissario, anziche', come nel resto del territorio nazionale, con decreto presidenziale, su proposta del Ministro dell'interno; Visti gli atti e documenti depositati col ricorso; Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, di cui all'art. 21, unico comma della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, presentata in via incidentale dai ricorrenti; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni statali intimate e del comune di Trieste; Udito il relatore, consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi, altresi', i procuratori delle parti costituite; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: F A T T O I ricorrenti, quali elettori rispettivamente del comune di Sgonico- Zgonik, Duino Aurisina - Devin Nabrezina, Monrupino - Repentabor, S. Dorligo della Valle - Dolina e Muggia, in provincia di Trieste, nonche' quali appartenenti alla locale minoranza slovena impugnano, in primo luogo, il decreto del prefetto della provincia di Trieste di convocazione dei comizi elettorali, di cui in epigrafe e quindi, anche i decreti del commissario del Governo nella regione Friuli-Venezia Giulia, pure citati in epigrafe, in quanto fanno applicazione del citato decreto del commissario generale del Governo per il territorio di Trieste n. 81 dd. 24 marzo 1956, affermando che le elezioni provinciali, se si svolgessero in base agli atti impugnati, e quindi secondo le disposizioni del decreto stesso, darebbero origine ad organi in cui la rappresentanza dei comuni, diversi dal capoluogo sarebbe di gran lunga inferiore a quella, che essi potrebbero legittimamente assicurarsi in base alla legislazione nazionale. Sostengono infatti che il citato atto commissariale, non recependo, nell'ordinamento del territorio, poi divenuto provincia di Trieste, l'art. 9, secondo comma della legge n. 122/51, che recita: "A nessun comune possono essere assegnati piu' della meta' dei collegi spettanti alla provincia", e attribuendo il potere di fissazione della tabella delle circoscrizioni dei collegi al medesimo commissario, ha consentito, a mezzo dei decreti commissariali che, sempre in virtu' del predetto atto, hanno definito, di volta in volta, detta tabella, di ridurre ai minimi termini la rappresentanza dei comuni minori nel consiglio provinciale (l'ultimo di tali decreti, pur essi impugnati, assegnava loro tre collegi su ventiquattro) di talche' questo si e' trasformato, nella sostanza, in un doppione del consiglio comunale di Trieste. Sarebbe in tal modo stata frustrata la ratio dell'art. 9, secondo comma, che starebbe proprio nell'evitare un fenomeno di tal genere, tendenzialmente comprimendo la rappresentanza nel consiglio provinciale del piu' popoloso comune capoluogo a vantaggio di quella degli altri comuni, in modo da garantire che abbiano modo di esprimersi adeguatamente anche gli interessi di questi. Tale garanzia non risulta estesa ai comuni, diversi dal capoluogo, della provincia di Trieste, in virtu' del ricordato decreto del commissario generale del Governo. Poiche' esso deroga ad una legge dello Stato, deve ritenersi conferita una potesta' legislativa all'autorita' emanante (commissario generale del Governo). Tale potesta' dovrebbe pero' considerarsi illegittimamente attribuita, in quanto pertinente al solo Governo, qualora investito di delega parlamentare, e non, come nel caso di specie, ad un'autorita' amministrativa, da esso delegata, senza intervento delle Camere. I ricorrenti sollevano pertanto questione di legittimita' costituzionale dell'atto medesimo, presupposto a quelli impugnati, in quanto emanato in violazione dell'art. 77, primo comma, della Costituzione. In ogni caso osservano che esso risulta costituzionalmente illegittimo anche sotto altri profili. Invero la deroga introdotta all'art. 9, della legge n. 122/51, non recependo il secondo comma e facendo fissare la tabella dei collegi al commissario, appare chiaramente voltata ad assicurare al comune di Trieste un numero maggiore di rappresentanti nel consiglio provinciale. La modificazione introdotta alla legislazione nazionale non potrebbe essere attribuita al desiderio di tener conto della notevole sproporzione che, nell'attuale provincia di Trieste, vi e' e vi era, anche alla data di emanazione dell'impugnato decreto, fra la popolazione del capoluogo e quella dei comuni del circondario, dato che tale fenomeno, in termini quantitativi appena minori, si verifica in altre province dello Stato italiano, in cui pur vige la disposizione, non estesa a Trieste dal commissario. La ratio della mancata estensione all'allora territorio di Trieste andrebbe ricercata percio' piuttosto nella situazione politica del tempo, in cui l'atto commissariale e' stato emanato. Nei comuni minori all'epoca era ovunque maggioritaria la popolazione slovena, salvo che in quello di Muggia, retto peraltro da una amministrazione di sinistra, di cui costituiva e costituisce tradizionale roccaforte. Poiche', nella loro stragrande maggioranza, gli elettori di lingua slovena aderivano a partiti di sinistra o al partito etnico della Slovenska skupnost - Unione slovena, l'applicazione piena della normativa elettorale nazionale avrebbe rischiato di consegnare l'amministrazione provinciale nelle mani degli "slavo-comunisti". Con tale termine, coniato dalla pubblicistica locale dell'epoca, che unificava fra loro posizioni politiche anche molto differenziate, si designavano, in maniera onnicomprensiva, i supposti avversari dell'assetto appena costituito, con l'annessione all'Italia del territorio di Trieste, per motivi nazionali o politici. Considerata infatti l'epoca di guerra fredda e di blocchi contrapposti, che allora era appena agli inizi, tali elementi influivano, nel delicatissimo equilibrio del confine orientale, anche sull'amministrazione locale. Se, percio', tali motivazioni, che stanno, nell'assunto dei ricorrenti, alla base del contestato decreto, si possono comprendere, non ne deriva che si possa ammettere il diverso trattamento, che ne e' derivato, per i comuni diversi dal capoluogo, nella disciplina delle elezioni provinciali a Trieste, rispetto a quelle di ogni altra provincia d'Italia. I ricorrenti, pertanto, sollevano altresi' questione di legittimita' costituzionale dell'atto normativo in parola, in quanto violerebbe gli artt. 3, in relazione agli artt. 5 e 128, e 6 della Costituzione, sia in quanto introdurrebbe un'ingiustificata deroga alla disciplina legislativa nazionale nella materia de qua per la sola provincia di Trieste, a danno dei comuni minori, sia in quanto tale deroga sarebbe stata introdotta a svantaggio della minoranza linguistica slovena, che costituisce la popolazione - e quindi l'elettorato - prevalente o, comunque, di notevole rilevanza nei comuni in questione. La dedotta incostituzionalita', sotto gli indicati profili, del decreto n. 81/56 del commissario generale del Governo per il territorio di Trieste, ridonderebbe sugli atti impugnati, di esso applicativi. Invero attraverso il decreto prefettizio di convocazione dei comizi elettorali, che richiama quali presupposti, il decreto del commissario del Governo nella Regione Friuli-Venezia Giulia, che gli e' succeduto a' sensi dell'art. 70, primo comma, dello statuto speciale di detta regione, dd. 20 novembre 1989, con cui e' stata per l'ultima volta definita la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per le elezioni provinciali di Trieste, fissati in numero di 24, di cui solo 3 aventi sede in comuni diversi dal capoluogo, attraverso tutti i precedenti decreti commissariali, che hanno disposto nella medesima materia, attraverso il decreto ministeriale di fissazione della data delle elezioni, la lesione lamentata dai ricorrenti a seguito dei vizi dedotti dell'atto normativo presupposto, e' stata resa attuale. Essi, pertanto, vengono fatti oggetto del presente gravame in base agli stessi motivi, cioe' in quanto partecipano delle illegittimita' costituzionali denunciate, che lo caratterizzerebbero. Dei provvedimenti amministrativi impugnati chiedono quindi l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione. Si sono costituiti in giudizio, con il patrocinio della difesa erariale, le amministrazioni statali intimate, controdeducendo ed eccependo l'inammissibilita' del gravame per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti e di interesse all'impugnazione nonche' il comune di Trieste, che ha del pari controdedotto, entrambi sostenendo, inoltre, l'infondatezza della proposta istanza cautelare. Con ordinanza resa nella camera di consiglio del 14 ottobre 1994 questo Tribunale amministrativo, riconosciuta la sussistenza del danno grave ed irreparabile ed osservando che, quanto al fumus boni juris, apparendo il ricorso diretto all'annullamento di provvedimenti amministrativi conseguenziali ad un atto, cui formalmente e' riconosciuta forza di legge, appaiono rilevanti e non manifestamente infondate almeno in parte, nei limiti da precisarsi con successiva ordinanza, le censure di incostituzionalita' dedotte dai ricorrenti, ha stabilito di sospendere il giudizio cautelare, di rimettere gli atti alla Corte costituzionale e di sospendere provvisoriamente, nelle more della decisione e della successiva restituzione degli stessi da parte del giudice delle leggi, cui seguira' la decisione definitiva sull'istanza di sospensiva, i provvedimenti, diversi da quello normativo, impugnati. D I R I T T O 1.1. - Com'e' dato evincere dalla narrativa in fatto il ricorso, in quanto nella sostanza diretto ad ottenere che le elezioni provinciali di Trieste si svolgano con una ripartizione delle circoscrizioni dei collegi fra comune capoluogo e altri comuni, identica a quella vigente, nel resto del territorio nazionale, attraverso l'integrale recezione dell'art. 9 della legge n. 122/51, ha come ineliminabile passaggio, perche' possa dirsi, nella presente fase cautelare, che esso sia assistito dal prescritto fumus boni juris, che sia rimosso l'ostacolo, costituito dal decreto n. 81, dd. 21 marzo 1956, del Commissario generale per il territorio di Trieste, che non estende integralmente al territorio predetto la norma in parola, disposizione di cui gli atti impugnati fanno fedele applicazione. 1.2. - Il Collegio ritiene, al di la' della perplessa prospettazione di parte ricorrente, di riconoscere il carattere legislativo dell'atto commissariale, in virtu' dell'esplicita delega, contenuta nel D.P.R. 27 ottobre 1954, al commissario predetto ad esercitare altresi' i compiti, gia' spettanti al cessato Governo militare alleato, fra cui era indubbiamente compresa l'emanazione di atti normativi, sia pure con efficacia ovviamente limitata al territorio amministrato, ed in particolare il potere di estendere, con o senza modificazioni, allo stesso territorio la legislazione italiana, di cui appare aver fatto uso nel caso in esame. 1.3. - Le considerazioni appena esposte depongono nel senso della rilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate, dal momento che escludono la possibilita' di diretto annullamento giurisdizionale dell'atto predetto, in quanto di natura legislativa, senza l'intervento del giudice delle leggi e del pari escludono che si possa conseguire, in sua vigenza, l'annullamento degli atti amministrativi impugnati. Prima, peraltro, di concludere positivamente il relativo esame ulteriori profili devono essere esaminati. 1.4. - Il primo di essi e' costituito dalle eccezioni di inammissibilita' del gravame, sollevate dalle amministrazioni resistenti, sotto il duplice profilo della mancata titolarita' degli interessi legittimi coinvolti in capo ai ricorrenti, non essendo ammessa l'azione popolare nei confronti del decreto di convocazione dei comizi elettorali, atto indicato come immediatamente lesivo, e del difetto di interesse, chiedendo i ricorrenti l'applicazione di una norma, l'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51, ormai non piu' in vigore, per effetto della nuova disciplina delle elezioni provinciali e, in particolare, per effetto del combinato disposto degli artt. 8 e 9 della legge 25 marzo 1993, n. 81, che rende decisivi, per l'elezione a consigliere provinciale, sulla base di un sistema maggioritario, non solo e non tanto la percentuale riportata nel collegio, quanto il collegamento o meno alla lista o gruppo di liste collegate col candidato presidente. Non sarebbe infatti decisiva la collocazione territoriale del collegio nell'uno o nell'altro comune, quanto l'appartenenza allo schieramento risultato vincitore o agli altri. 1.5. - Per quanto concerne la prima delle proposte eccezioni che, se riconosciute fondate, renderebbero ovviamente irrilevanti le questioni sollevate, appare al collegio necessario ricostruire il petitum del ricorso e, verificato in che qualita' i ricorrenti si dichiarano legittimati a proporlo, concludere sulla sussistenza o meno di detta legittimazione. 1.6. - Il ricorso, come gia' osservato, appare diretto, attraverso l'incidente di costituzionalita', ad ottenere l'applicazione in toto della legislazione nazionale in materia di elezioni del presidente e del consiglio provinciale di Trieste, in modo da assicurare, almeno tendenzialmente, ai Comuni diversi dal capoluogo una piu' adeguata rappresentanza, attraverso l'assegnazione ad essi della meta' dei collegi elettorali, negata dall'atto commissariale che si intende sottoporre all'esame del giudice delle leggi. L'interesse fatto valere, pertanto, non appare proprio dei ricorrenti, ma di ciascuno dei comuni di cui ognuno di essi si dichiara elettore, provando tale sua qualita'. L'azione popolare dell'elettore, diretta a far valere, per conto del comune rimasto inerte, interessi pertinenti al comune stesso e' ammessa dall'ordinamento, in seguito al disposto dell'art. 7, primo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142. Che tale sia l'azione proposta in questa sede lo dimostrano non solo le considerazioni, appena svolte, in ordine alla qualificazione dei ricorrenti e al petitum, ma anche le sue modalita' procedurali, avendo le parti istanti provveduto a notificare il ricorso ai comuni interessati, onde potessero, senza necessita' dell'integrazione del contraddittorio, prevista in via eventuale dal secondo comma del predetto art. 7, far valere direttamente le proprie ragioni. Risulta pertanto destituita di fondamento la prima eccezione della difesa erariale. 1.7. - I ricorrenti si qualificano altresi' "appartenenti alla minoranza slovena nei comuni di residenza". Ritiene il collegio che, in tal modo, i ricorrenti non vogliano far valere una ulteriore legittimazione, costituendo tale qualificazione una semplice specificazione di quella, precedentemente attribuitasi, di elettori, che agiscono per conto dei comuni di appartenenza. Tendono piuttosto i ricorrenti in tal modo a evidenziare che, in caso di buon esito del gravame, dal fatto che alle elezioni provinciali di Trieste verrebbe applicato l'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51 si avvantaggerebbero, come si cerchera' di dimostrare, senz'altro i comuni minori, in se' considerati, ma altresi', indirettamente, la minoranza slovena stessa. Essa, invero, e' attualmente presente, nel complesso dei comuni in questione, in percentuale piu' elevata rispetto al comune capoluogo, per cui, sia pur non agendo gli istanti per suo conto, ma per quello dei comuni precitati, vengono a tutelare, con il presente ricorso, per quanto in via indiretta, anche un particolare interesse, che non puo' considerarsi diverso ed ultroneo, rispetto a quelli protetti dal citato art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51, ma va, nel caso specifico, tra essi annoverato. Questa norma, non estesa alla provincia di Trieste, mira, come si e' visto, a dare maggior rappresentativita' agli interessi dei comuni minori nel consiglio provinciale, assicurando loro, tendenzialmente, una rappresentanza piu' che proporzionale. Nel caso concreto della provincia di Trieste essa assicura un vantaggio anche alla parte della minoranza slovena, residente in detti comuni, come naturale conseguenza della probabile maggior rappresentanza di tutti gli elettori dei comuni stessi e non come interesse tutelato in se'. I ricorrenti ritengono pero' di sottolineare tale profilo poiche' l'atto commissariale, di cui si richiede venga dichiarata l'illegittimita' costituzionale, mirerebbe proprio, nella loro prospettazione, a colpire la minoranza in questione, per cui essi ne deducono l'incostituzionalita', fra l'altro, anche per violazione dell'art. 6 della Costituzione. 1.8. - Qualificati, nel modo finora esposto, la legittimazione a ricorrere e gli interessi fatti valere, va affrontata la questione, posta dalla difesa erariale, dell'attuale vigenza dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51. Se essa, infatti, fosse stata, come si sostiene, abrogata, le proposte questioni di costituzionalita' sarebbero irrilevanti. Il collegio, peraltro, ritiene detta tesi sprovvista di giuridico pregio. Osserva, in primo luogo, che essa non e' condivisa nemmeno dalla p.a., che l'avvocatura dello Stato rappresenta, la quale, convocando i comizi elettorali in vigenza della nuova normativa sull'elezione diretta del presidente della provincia e del consiglio provinciale, pur sempre richiama il decreto commissariale che fissa la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali "in forza del decreto del commissario generale del Governo italiano per il territorio di Trieste n. 81 del 24 marzo 1956". Del resto e' lo stesso art. 9 della legge n. 93/81, richiamato dalla difesa erariale a sostegno della sua tesi, a disporre, al primo comma, che attraverso il decreto prefettizio di convocazione dei comizi elettorali, che richiama, quali presupposti, il piu' volte citato "l'elezione dei consiglieri provinciali e' effettuata sulla base di collegi uninominali e secondo le disposizioni dettate dalla legge 8 marzo 1951, n. 122 e successive modificazioni", in quanto compatibili con il precedente art. 8 e con gli altri commi del medesimo art. 9. Tali disposizioni, ed in particolare i commi dal terzo all'ottavo dell'art. 9, introducono rilevanti novita' sulla ripartizione dei seggi fra i vari gruppi di candidati e le loro coalizioni, ma non sulla ripartizione delle circoscrizioni dei collegi uninominali, che permangono, fra comune capoluogo e comuni minori. Ne rimane confermata la perdurante vigenza dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51. Da cio' consegue che la sua mancata estensione al territorio, ora provincia di Trieste, ad opera del decreto commissariale, che ne occupa, continua, pur nelle rilevanti novita' introdotte dalla recente legislazione, a porre in posizione deteriore, rispetto a quella nazionale, i locali comuni minori. A detti comuni, infatti, altrove e' pur sempre garantita, applicandosi integralmente il citato art. 9, a parita' di distribuzione dei voti fra gruppi di candidati, una maggior probabilita' di vedere eletti propri rappresentanti, essendo i collegi posti nel loro territorio piu' numerosi e di piu' piccola dimensione, rispetto alla popolazione residente, nei confronti di quelli del comune capoluogo, per cui e' obiettivamente piu' facile, almeno in via tendenziale, che, nei vari gruppi di candidati, quelli presenti in detti collegi, sia in liste collegate al Presidente eletto sia in quelle ad esso avverse, conseguano una piu' elevata cifra individuale, pur sempre rilevante, ceteris paribus, per l'elezione. Tale maggior probabilita' e' invece negata ai comuni minori della provincia di Trieste, per effetto del decreto commissariale piu' volte citato e per effetto, nell'indetta consultazione elettorale, degli ulteriori provvedimenti amministrativi impugnati, che ad esso danno applicazione nel caso de quo. 1.9. - Per tutte le considerazioni che precedono le dedotte questioni di costituzionalita' vanno considerate rilevanti per la decisione del giudizio a quo. 2.1. - Fra le questioni sollevate alcune sembrano, peraltro, al Collegio manifestamente infondate. 2.2. - In primo luogo lo e' la contestazione della legittimita' costituzionale del potere del commissario generale del Governo di modificare le disposizioni legislative italiane, estese al territorio di Trieste, in quanto sprovvisto di poteri legislativi legittimamente delegati al Governo stesso ex art. 77 della Costituzione. Invero l'art. 70 della legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1, con cui e' stato approvato lo Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, ha infatti non solo trasferito pro futuro alla regione stessa, al prefetto della provincia di Trieste e al commissario del Governo nella regione Friuli-Venezia Giulia i poteri gia' di competenza del commissario generale, ma ha altresi' inteso convalidare retroattivamente l'esercizio di poteri legislativi da parte di detto commissario (cfr. C. cost. 23 giugno 1964, n. 53). 2.3. - Del pari manifestamente infondata appare la dedotta violazione dell'art. 6 Cost., erroneamente interpretato come disposizione onnicomprensiva di tutela delle minoranze linguistiche e, nel caso, della minoranza slovena. La disposizione in questione invece impegna e autorizza la Repubblica, nelle sue varie articolazioni - Stato, regioni, provincie, comuni - ad emanare "apposite norme", di carattere pertanto legislativo o regolamentare, a seconda della rispettiva competenza, a tutela delle anzidette minoranze ed appare, pertanto, estranea alla fattispecie controversa. Le eventuali discriminazioni, prospettate dai ricorrenti, riferibili all'attivita' legislativa del commissario, nei confronti della minoranza slovena rientrano, invero, nel campo di applicazione dell'art. 3 della Costituzione, che tutela l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge senza distinzione, fra l'altro, di lingua. 2.4. - Non sembra, invece, al collegio manifestamente infondata la dedotta violazione proprio dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo, gia' piu' volte sottolineato nella narrativa in fatto, che il decreto n. 81 dd. 24 marzo 1956 del commissario generale del Governo italiano per il territorio di Trieste, non estendendo integralmente a detto territorio l'art. 9 della legge n. 122/51 ma omettendo di recepirne il secondo comma e riservando a se' di stabilire la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per le elezioni provinciali, abbia, senza plausibile giustificazione, differenziato in peius la condizione dei comuni della attuale provincia di Trieste diversi dal capoluogo, e per essi quella degli interessi dei loro cittadini elettorali, rispetto a quella di tutti i comuni minori del restante territorio nazionale, nell'elezione del consiglio provinciale. Come si e' gia' esposto in fatto l'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51 vincola l'autorita' amministrativa che, a' sensi del successivo quarto comma, sara' chiamata a predisporre la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali, a non assegnarne a nessun comune, per quanto popoloso, piu' della meta' di quelli assegnati alla provincia. Nei confronti di detto comune, ordinariamente il capoluogo, quelli minori godono percio', di un numero di collegi proporzionalmente piu' ampio rispetto alla popolazione residente, formati, pertanto, da un numero inferiore di elettori. Sotto entrambi i profili, dal momento che la cifra individuale ottenuta dai candidati alle elezioni provinciali e' determinata dal rapportare in percentuale, rispetto al totale dei voti validi espressi nel collegio, i voti validi ottenuti da ciascun candidato, tale disposizione avvantaggia quelli che si presentano nei comuni minori. Nei collegi di tali comuni la stessa cifra individuale puo' essere ottenuta con un minor numero di voti e, per giunta, rapportati al numero degli elettori, tali collegi sono presenti in numero piu' che proporzionale. Attraverso tali meccanismi la norma, a parita' delle altre condizioni (appartenenza dei candidati all'una piuttosto che all'altra lista, sistema di votazione ecc.) continua a corrispondere alla sua ratio, che e', come giustamente sostengono i ricorrenti, quella di garantire, almeno tendenzialmente, nel consiglio provinciale una adeguata rappresentanza dei comuni meno popolosi, affinche' esso non sia pressoche' esclusiva espressione del comune, solitamente il capoluogo, con maggior numero di elettori. Del tutto concordemente le parti ammettono che, in seguito alle modifiche all'art. 9 introdotte dal commissario generale con il decreto, di che trattasi, l'elezione del consiglio provinciale di Trieste avviene in condizioni del tutto diverse, dal momento che ai comuni minori e' stato assegnato un numero di gran lunga inferiore alla meta' dei collegi (dal 1983 3 su 24) e che il consiglio stesso risulta, senza variazioni significative da un'elezione all'altra, in grandissima prevalenza composto da consiglieri eletti nel comune di Trieste. Divergono peraltro sulle cause di tale indubbia differenza, che e' del tutto giustificata, a parere delle amministrazioni resistenti, dalla anomala sproporzione che, nella provincia di Trieste, si sarebbe verificata, dopo le mutilazioni territoriali conseguenti agli eventi bellici, fra la popolazione del capoluogo, pari all'85/86% del totale, e quella degli altri comuni. Di tale realta' l'atto normativo commissariale in discussione avrebbe preso doverosamente atto, onde non privilegiare oltre misura gli elettori dei comuni minori, adeguando la rappresentanza nel Consiglio provinciale alla situazione obiettiva, senza intenzioni discriminatorie. Tale prospettazione non persuade il collegio. Non e' dato invero comprendere perche' solo nella provincia di Trieste si dovrebbe tendere a conformare il consiglio provinciale a criteri che, nel riparto dei collegi uninominali fra i vari comuni, possono essere detti di rappresentanza proporzionale, quando la legislazione nazionale adotta il criterio opposto, cioe' quello di una rappresentanza tendenzialmente piu' che proporzionale dei comuni minori. La parti ricorrenti hanno documentato che anche in altre province si verifica una significativa sproporzione fra la popolazione del capoluogo e quella degli altri comuni e, nonostante cio', ad essi vada attribuita non piu' della meta' dei collegi. Particolarmente significativi appaiono al collegio gli esempi di Genova, che con il 72% della popolazione si vede assegnati 18 collegi su 36 e di Roma, che con quasi il 75% della popolazione conta su 22 collegi su 45. E' vero che nessuno di questi capoluoghi raggiunge la percentuale di Trieste, ma non vede il collegio dove possa essere individuato ed in base a quale disposizione, nell'ambito di una normativa, si ripete, ispirata a un chiaro favor nei confronti della rappresentanza dei comuni minori, il break even point a partire dal quale la deroga alla normativa valida per tutti gli altri e' autorizzata e ritenuta non discriminatoria. In altri termini puo' essere rinvenuto un dato percentuale, superando il quale e' costituzionalmente legittima la segnalata disparita' di trattamento? Il collegio ritiene che, nel silenzio della legge e nell'eloquenza delle cifre, che dimostrano come anche altrove l'applicazione dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51 privilegi, in via tendenziale, grandemente i comuni minori, non sia plausibile la spiegazione, sostenuta dalle amministrazioni resistenti, circa la ra- tio della disposizione commissariale in discussione e non sia comunque sufficiente a ricondurre entro parametri di ragionevolezza l'indubbia discriminazione, da esso operata. Pur nella differenza, peraltro non significativa, delle percentuali, il caso di Trieste non si differenzia da quello di altri capoluoghi, in cui si concentra la gran parte della popolazione della Provincia in modo tale, da far ritenere che si tratti di casi diversi, giustamente trattati diversamente dalla legge. 2.5. - L'esame della norma induce il collegio altresi' a ritenere che la sua ratio sia ben diversa da quella prospettata dalle amministrazioni resistenti. Invero, rispetto al testo dell'art. 9 della legge n. 122/51, quello del decreto in questione introduce differenze, che appaiono significative, se lette nel loro combinato disposto. La fissazione della tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali appare infatti attribuita al commissario stesso. L'autorita' amministrativa pero' agisce in tale campo, non avendo il decreto riprodotto il secondo comma del citato art. 9, in assenza di qualsiasi limitazione. Cio' significa che la novita' sostanziale dell'atto commissariale sta nell'aver totalmente rimesso, nel territorio di Trieste, all'arbitrio dell'autorita' amministrativa la decisione sulla ripartizione dei collegi fra i comuni, privando, come si e' detto, quelli minori della garanzia di averne sul proprio territorio almeno la meta', assicurata dal precitato art. 9, secondo comma, agli altri comuni, diversi da quello piu' popoloso, nel resto d'Italia. Cio' significa altresi' che il fatto di aver riservato soltanto ad un organo, espressione diretta del Governo, i poteri in cosi' delicato settore, pertinente alla materia elettorale, depone indubbiamente a favore dell'interpretazione dei ricorrenti, secondo cui ragioni di carattere etnico - politico, cosi' come esposto nelle premesse di fatto, piuttosto che esigenze di buon andamento amministrativo, stiano alla base della difforme legislazione esistente a Trieste, rispetto al resto del territorio nazionale. Basti osservare che tale particolare normativa rende in se', indipendentemente cioe' dal fatto che in concreto si sia avvalso o meno di tale opportunita', possibile al Governo, di influire, nella vigenza della disposizione denunciata, sull'esito stesso delle elezioni provinciali a Trieste, con la modifica, a mezzo del suo organo, della tabella delle circoscrizioni dei collegi, attuabile ad libitum, senza la remora posta dalla garanzia a favore dei comuni minori, di cui ripetutamente si e' detto. Non e' soltanto rilevante, peraltro, in questa sede, detta considerazione, quanto piuttosto quella che nessun legittimo motivo appare giustificare la preterizione di un vantaggio, assicurato per legge in tutto il territorio della Repubblica agli interessi, rappresentati nei comuni minori, sostituendovi, con il contestato decreto, l'illimitata discrezionalita' dell'amministrazione. 3. - Essendo stata ritenuta rilevante ai fini della decisione dell'istanza cautelare in esame e non manifestamente infondata, per i motivi e nei limiti sopra esposti, la dedotta questione di illegittimita' costituzionale il collegio dispone la sospensione del giudizio e la remissione degli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci in proposito.