IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del
 14 ottobre 1994 sul ricorso n.  828/94  proposto  da  Gruden  Andrej,
 Vidoni   Paolo,   Gustin  Emilio,  MahnicXX  Sergio,  Savron  Danilo,
 rappresentati e difesi dal dott. proc. Peter MocXXnik, con  domicilio
 eletto   in  Trieste,  via  XXX  Ottobre,  13,  contro  il  Ministero
 dell'interno, in persona del Ministro in carica, il Commissariato del
 Governo  e  la  regione  Friuli-Venezia  Giulia,   in   persona   del
 commissario  pro-tempore,  la  prefettura  di Trieste, in persona del
 prefetto pro-tempore, tutti rappresentati  e  difesi  dall'avvocatura
 distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege; e nei confronti:
      della  provincia  di  Trieste,  in  persona del presidente della
 giunta provinciale in carica, non costituita in giudizio;
      del comune di Trieste, rappresentato e difeso dagli avv.ti  Alma
 Cognito  e  Maria  Serena  Giraldi,  con  domicilio eletto nella sede
 municipale in Trieste, piazza dell'Unita' d'Italia, 4;
      del comune di Muggia, in persona  del  sindaco  in  carica,  non
 costituito in giudizio;
      del  comune  di  S. Dorligo della Valle - Dolina, in persona del
 sindaco in carica, non costituito in giudizio;
      del comune di Monrupino - Repentabor, in persona del sindaco  in
 carica, non costituito in giudizio;
      del  comune  di  Sgonico  -  Zgonik,  in  persona del sindaco in
 carica, non costituito in giudizio;
      del comune di Duino Auridina - Devin NabrezXXina, in persona del
 sindaco in carica, non costituito in giudizio;
 per l'annullamento - previa sospensione dell'esecuzione - del decreto
 del  prefetto  della  provincia  di Trieste prot. n. 4/3/8/803 del 22
 settembre 1994 di convocazione del consiglio provinciale di Trieste e
 per l'elezione diretta del presidente  della  provincia  di  Trieste,
 nonche'  dei  presupposti  decreti  del commissario del Governo nella
 Regione Friuli-Venezia Giulia dd. 20 marzo 1989, con cui e' stata, da
 ultimo,  modificata  la  tabella  delle  circoscrizioni  dei  collegi
 uninominali  per  l'elezione  del  Consiglio  provinciale  di Trieste
 (nonche'  dei  precedenti  decreti  sulla  medesima  materia)  e  del
 Ministro  dell'interno  prot.  n. 09405275 dd. 1› settembre 1994, con
 cui viene fissata la data di alcune consultazioni elettorali, fra cui
 quelle, che ne  occupano,  in  quanto  richiamano  o  fanno  comunque
 applicazione  del decreto del commissario generale del Governo per il
 territorio di Trieste n. 81, dd. 24 marzo 1956, con cui viene  estesa
 alla  zona della provincia di Trieste, acquisita allo Stato italiano,
 la legge 8 marzo 1951, n. 122, che  regola  l'elezione  dei  consigli
 provinciali,  nella  parte  in cui, nell'operare detta estensione, ne
 eccettua l'art. 9, sostituito da un diverso testo, che  omette,  cio'
 che  in  questa  sede  piu'  interessa,  il secondo comma della norma
 predetta, e che stabilisce altresi' che la fissazione  della  tabella
 delle  circoscrizioni  dei  collegi e' fatta con decreto del predetto
 commissario, anziche', come nel resto del territorio  nazionale,  con
 decreto presidenziale, su proposta del Ministro dell'interno;
    Visti gli atti e documenti depositati col ricorso;
    Vista  la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
 impugnato, di cui all'art. 21, unico comma  della  legge  6  dicembre
 1971, n. 1034, presentata in via incidentale dai ricorrenti;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio delle amministrazioni
 statali intimate e del comune di Trieste;
    Udito  il  relatore,  consigliere  Enzo  Di  Sciascio  ed   uditi,
 altresi', i procuratori delle parti costituite;
    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
                               F A T T O
    I   ricorrenti,  quali  elettori  rispettivamente  del  comune  di
 Sgonico- Zgonik,  Duino  Aurisina  -  Devin  Nabrezina,  Monrupino  -
 Repentabor, S. Dorligo della Valle - Dolina e Muggia, in provincia di
 Trieste,  nonche'  quali  appartenenti  alla locale minoranza slovena
 impugnano, in primo luogo, il decreto del prefetto della provincia di
 Trieste di convocazione dei comizi elettorali, di cui in  epigrafe  e
 quindi,  anche  i  decreti  del commissario del Governo nella regione
 Friuli-Venezia Giulia, pure  citati  in  epigrafe,  in  quanto  fanno
 applicazione  del citato decreto del commissario generale del Governo
 per il territorio di Trieste n. 81 dd. 24 marzo 1956, affermando  che
 le  elezioni  provinciali,  se  si  svolgessero  in  base  agli  atti
 impugnati, e quindi  secondo  le  disposizioni  del  decreto  stesso,
 darebbero  origine  ad  organi  in  cui la rappresentanza dei comuni,
 diversi dal capoluogo sarebbe di gran lunga inferiore a  quella,  che
 essi  potrebbero legittimamente assicurarsi in base alla legislazione
 nazionale.
    Sostengono  infatti  che  il  citato   atto   commissariale,   non
 recependo, nell'ordinamento del territorio, poi divenuto provincia di
 Trieste,  l'art.  9, secondo comma della legge n. 122/51, che recita:
 "A nessun comune  possono  essere  assegnati  piu'  della  meta'  dei
 collegi  spettanti  alla  provincia",  e  attribuendo  il  potere  di
 fissazione della tabella delle circoscrizioni dei collegi al medesimo
 commissario, ha consentito, a mezzo dei  decreti  commissariali  che,
 sempre  in  virtu'  del  predetto  atto,  hanno definito, di volta in
 volta, detta tabella, di ridurre ai minimi termini la  rappresentanza
 dei  comuni  minori  nel  consiglio  provinciale  (l'ultimo  di  tali
 decreti,  pur  essi  impugnati,  assegnava  loro   tre   collegi   su
 ventiquattro) di talche' questo si e' trasformato, nella sostanza, in
 un doppione del consiglio comunale di Trieste.
    Sarebbe  in tal modo stata frustrata la ratio dell'art. 9, secondo
 comma, che starebbe proprio nell'evitare un fenomeno di  tal  genere,
 tendenzialmente   comprimendo   la   rappresentanza   nel   consiglio
 provinciale del piu' popoloso comune capoluogo a vantaggio di  quella
 degli  altri  comuni,  in  modo  da  garantire  che  abbiano  modo di
 esprimersi adeguatamente anche gli interessi di questi.
    Tale garanzia non risulta estesa ai comuni, diversi dal capoluogo,
 della provincia di Trieste,  in  virtu'  del  ricordato  decreto  del
 commissario generale del Governo.
    Poiche'  esso  deroga  ad  una  legge  dello Stato, deve ritenersi
 conferita   una   potesta'   legislativa    all'autorita'    emanante
 (commissario generale del Governo).
    Tale   potesta'   dovrebbe   pero'  considerarsi  illegittimamente
 attribuita, in quanto pertinente al solo Governo,  qualora  investito
 di   delega  parlamentare,  e  non,  come  nel  caso  di  specie,  ad
 un'autorita' amministrativa, da esso delegata, senza intervento delle
 Camere.
    I  ricorrenti  sollevano  pertanto   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'atto medesimo, presupposto a quelli impugnati, in
 quanto  emanato  in  violazione  dell'art.  77,  primo  comma,  della
 Costituzione.
    In  ogni  caso  osservano  che  esso  risulta   costituzionalmente
 illegittimo anche sotto altri profili.
    Invero la deroga introdotta all'art. 9, della legge n. 122/51, non
 recependo  il  secondo comma e facendo fissare la tabella dei collegi
 al commissario, appare chiaramente voltata ad assicurare al comune di
 Trieste  un  numero  maggiore   di   rappresentanti   nel   consiglio
 provinciale.
    La   modificazione  introdotta  alla  legislazione  nazionale  non
 potrebbe essere attribuita al desiderio di tener conto della notevole
 sproporzione che, nell'attuale provincia di Trieste, vi e' e vi  era,
 anche   alla  data  di  emanazione  dell'impugnato  decreto,  fra  la
 popolazione del capoluogo e quella dei comuni del  circondario,  dato
 che tale fenomeno, in termini quantitativi appena minori, si verifica
 in   altre  province  dello  Stato  italiano,  in  cui  pur  vige  la
 disposizione, non estesa a Trieste dal commissario.
    La ratio della mancata estensione all'allora territorio di Trieste
 andrebbe ricercata percio' piuttosto nella  situazione  politica  del
 tempo, in cui l'atto commissariale e' stato emanato.
    Nei   comuni   minori   all'epoca  era  ovunque  maggioritaria  la
 popolazione slovena, salvo che in quello di Muggia, retto peraltro da
 una amministrazione di sinistra,  di  cui  costituiva  e  costituisce
 tradizionale roccaforte.
    Poiche', nella loro stragrande maggioranza, gli elettori di lingua
 slovena  aderivano  a  partiti  di sinistra o al partito etnico della
 Slovenska skupnost  -  Unione  slovena,  l'applicazione  piena  della
 normativa   elettorale  nazionale  avrebbe  rischiato  di  consegnare
 l'amministrazione provinciale nelle mani degli "slavo-comunisti".
    Con tale termine, coniato dalla pubblicistica  locale  dell'epoca,
 che unificava fra loro posizioni politiche anche molto differenziate,
 si  designavano,  in  maniera  onnicomprensiva,  i supposti avversari
 dell'assetto  appena  costituito,  con  l'annessione  all'Italia  del
 territorio di Trieste, per motivi nazionali o politici.
    Considerata   infatti  l'epoca  di  guerra  fredda  e  di  blocchi
 contrapposti,  che  allora  era  appena  agli  inizi,  tali  elementi
 influivano, nel delicatissimo equilibrio del confine orientale, anche
 sull'amministrazione locale.
    Se,  percio',  tali  motivazioni,  che  stanno,  nell'assunto  dei
 ricorrenti, alla base del contestato decreto, si possono comprendere,
 non ne deriva che si possa ammettere il diverso trattamento,  che  ne
 e'  derivato,  per  i  comuni diversi dal capoluogo, nella disciplina
 delle elezioni provinciali a Trieste, rispetto a quelle di ogni altra
 provincia d'Italia.
    I  ricorrenti,   pertanto,   sollevano   altresi'   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'atto normativo in parola, in quanto
 violerebbe gli artt. 3, in relazione agli artt. 5 e 128,  e  6  della
 Costituzione,  sia  in  quanto introdurrebbe un'ingiustificata deroga
 alla disciplina legislativa nazionale nella materia  de  qua  per  la
 sola  provincia  di Trieste, a danno dei comuni minori, sia in quanto
 tale deroga sarebbe stata introdotta  a  svantaggio  della  minoranza
 linguistica  slovena,  che  costituisce  la  popolazione  -  e quindi
 l'elettorato - prevalente o,  comunque,  di  notevole  rilevanza  nei
 comuni in questione.
    La  dedotta  incostituzionalita',  sotto gli indicati profili, del
 decreto  n.  81/56  del  commissario  generale  del  Governo  per  il
 territorio  di  Trieste,  ridonderebbe  sugli atti impugnati, di esso
 applicativi.
    Invero attraverso  il  decreto  prefettizio  di  convocazione  dei
 comizi  elettorali,  che  richiama  quali presupposti, il decreto del
 commissario del Governo nella Regione Friuli-Venezia Giulia, che  gli
 e'  succeduto  a'  sensi  dell'art.  70,  primo  comma, dello statuto
 speciale di detta regione, dd. 20 novembre 1989, con cui e' stata per
 l'ultima volta definita la tabella delle circoscrizioni  dei  collegi
 uninominali per le elezioni provinciali di Trieste, fissati in numero
 di  24,  di  cui  solo 3 aventi sede in comuni diversi dal capoluogo,
 attraverso  tutti  i  precedenti  decreti  commissariali,  che  hanno
 disposto  nella  medesima materia, attraverso il decreto ministeriale
 di fissazione della data delle elezioni,  la  lesione  lamentata  dai
 ricorrenti   a   seguito   dei   vizi   dedotti  dell'atto  normativo
 presupposto, e' stata resa attuale.
    Essi, pertanto, vengono fatti oggetto del presente gravame in base
 agli stessi motivi, cioe' in quanto partecipano delle  illegittimita'
 costituzionali denunciate, che lo caratterizzerebbero.
    Dei   provvedimenti   amministrativi   impugnati  chiedono  quindi
 l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione.
    Si sono costituiti in giudizio, con  il  patrocinio  della  difesa
 erariale,  le  amministrazioni  statali  intimate, controdeducendo ed
 eccependo   l'inammissibilita'   del   gravame   per    difetto    di
 legittimazione  attiva dei ricorrenti e di interesse all'impugnazione
 nonche' il comune di Trieste, che ha del pari controdedotto, entrambi
 sostenendo, inoltre, l'infondatezza della proposta istanza cautelare.
    Con  ordinanza  resa nella camera di consiglio del 14 ottobre 1994
 questo Tribunale  amministrativo,  riconosciuta  la  sussistenza  del
 danno  grave  ed irreparabile ed osservando che, quanto al fumus boni
 juris, apparendo il ricorso diretto all'annullamento di provvedimenti
 amministrativi  conseguenziali  ad  un  atto,  cui   formalmente   e'
 riconosciuta  forza di legge, appaiono rilevanti e non manifestamente
 infondate almeno in parte, nei limiti da  precisarsi  con  successiva
 ordinanza,  le censure di incostituzionalita' dedotte dai ricorrenti,
 ha stabilito di sospendere il giudizio cautelare,  di  rimettere  gli
 atti  alla  Corte  costituzionale  e  di sospendere provvisoriamente,
 nelle more della decisione  e  della  successiva  restituzione  degli
 stessi  da  parte  del giudice delle leggi, cui seguira' la decisione
 definitiva sull'istanza di sospensiva, i  provvedimenti,  diversi  da
 quello normativo, impugnati.
                             D I R I T T O
    1.1.  -  Com'e' dato evincere dalla narrativa in fatto il ricorso,
 in  quanto  nella  sostanza  diretto  ad  ottenere  che  le  elezioni
 provinciali  di  Trieste  si  svolgano  con  una  ripartizione  delle
 circoscrizioni dei collegi  fra  comune  capoluogo  e  altri  comuni,
 identica  a  quella  vigente,  nel  resto  del  territorio nazionale,
 attraverso l'integrale recezione dell'art. 9 della legge  n.  122/51,
 ha  come ineliminabile passaggio, perche' possa dirsi, nella presente
 fase cautelare, che esso sia  assistito  dal  prescritto  fumus  boni
 juris,  che sia rimosso l'ostacolo, costituito dal decreto n. 81, dd.
 21 marzo 1956, del Commissario generale per il territorio di Trieste,
 che non estende integralmente al  territorio  predetto  la  norma  in
 parola,   disposizione   di  cui  gli  atti  impugnati  fanno  fedele
 applicazione.
    1.2.  -  Il  Collegio  ritiene,  al   di   la'   della   perplessa
 prospettazione  di  parte  ricorrente,  di  riconoscere  il carattere
 legislativo dell'atto commissariale, in virtu' dell'esplicita delega,
 contenuta nel D.P.R. 27 ottobre  1954,  al  commissario  predetto  ad
 esercitare  altresi'  i  compiti,  gia'  spettanti al cessato Governo
 militare alleato, fra cui era indubbiamente compresa l'emanazione  di
 atti  normativi,  sia  pure  con  efficacia  ovviamente  limitata  al
 territorio amministrato, ed in particolare il  potere  di  estendere,
 con  o  senza  modificazioni,  allo stesso territorio la legislazione
 italiana, di cui appare aver fatto uso nel caso in esame.
    1.3. - Le considerazioni appena esposte depongono nel senso  della
 rilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate, dal momento
 che escludono la possibilita' di diretto annullamento giurisdizionale
 dell'atto   predetto,   in   quanto   di  natura  legislativa,  senza
 l'intervento del giudice delle leggi e  del  pari  escludono  che  si
 possa   conseguire,   in   sua  vigenza,  l'annullamento  degli  atti
 amministrativi impugnati.
    Prima, peraltro, di concludere  positivamente  il  relativo  esame
 ulteriori profili devono essere esaminati.
    1.4.  -  Il  primo  di  essi  e'  costituito  dalle  eccezioni  di
 inammissibilita'  del  gravame,   sollevate   dalle   amministrazioni
 resistenti,  sotto il duplice profilo della mancata titolarita' degli
 interessi legittimi coinvolti in  capo  ai  ricorrenti,  non  essendo
 ammessa  l'azione  popolare nei confronti del decreto di convocazione
 dei comizi elettorali, atto indicato come  immediatamente  lesivo,  e
 del  difetto  di  interesse, chiedendo i ricorrenti l'applicazione di
 una norma, l'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51, ormai  non
 piu'  in  vigore,  per  effetto della nuova disciplina delle elezioni
 provinciali e, in particolare, per  effetto  del  combinato  disposto
 degli  artt.  8  e  9  della  legge  25  marzo 1993, n. 81, che rende
 decisivi, per l'elezione a consigliere provinciale, sulla base di  un
 sistema  maggioritario, non solo e non tanto la percentuale riportata
 nel collegio, quanto il collegamento o meno alla lista  o  gruppo  di
 liste collegate col candidato presidente.
    Non  sarebbe  infatti  decisiva  la  collocazione territoriale del
 collegio nell'uno o nell'altro  comune,  quanto  l'appartenenza  allo
 schieramento risultato vincitore o agli altri.
    1.5.  - Per quanto concerne la prima delle proposte eccezioni che,
 se  riconosciute  fondate,  renderebbero  ovviamente  irrilevanti  le
 questioni  sollevate,  appare  al  collegio necessario ricostruire il
 petitum del ricorso e, verificato in che  qualita'  i  ricorrenti  si
 dichiarano  legittimati  a  proporlo,  concludere sulla sussistenza o
 meno di detta legittimazione.
    1.6. - Il ricorso, come gia' osservato, appare diretto, attraverso
 l'incidente di costituzionalita', ad ottenere l'applicazione in  toto
 della  legislazione nazionale in materia di elezioni del presidente e
 del consiglio provinciale di Trieste, in modo da  assicurare,  almeno
 tendenzialmente,  ai  Comuni  diversi dal capoluogo una piu' adeguata
 rappresentanza, attraverso l'assegnazione ad  essi  della  meta'  dei
 collegi  elettorali,  negata  dall'atto  commissariale che si intende
 sottoporre all'esame del giudice delle leggi.
    L'interesse  fatto  valere,  pertanto,  non  appare  proprio   dei
 ricorrenti,  ma  di  ciascuno  dei  comuni  di  cui ognuno di essi si
 dichiara elettore, provando tale sua qualita'.
    L'azione popolare dell'elettore, diretta a far valere,  per  conto
 del  comune  rimasto inerte, interessi pertinenti al comune stesso e'
 ammessa dall'ordinamento, in seguito al disposto dell'art.  7,  primo
 comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142.
    Che  tale  sia  l'azione proposta in questa sede lo dimostrano non
 solo le considerazioni, appena svolte, in ordine alla  qualificazione
 dei  ricorrenti  e al petitum, ma anche le sue modalita' procedurali,
 avendo le parti istanti provveduto a notificare il ricorso ai  comuni
 interessati,  onde  potessero, senza necessita' dell'integrazione del
 contraddittorio, prevista in via  eventuale  dal  secondo  comma  del
 predetto art. 7, far valere direttamente le proprie ragioni.
    Risulta pertanto destituita di fondamento la prima eccezione della
 difesa erariale.
    1.7.  -  I  ricorrenti  si qualificano altresi' "appartenenti alla
 minoranza slovena nei comuni di residenza".
    Ritiene il collegio che, in tal modo, i  ricorrenti  non  vogliano
 far   valere   una   ulteriore   legittimazione,   costituendo   tale
 qualificazione una semplice specificazione di quella, precedentemente
 attribuitasi, di elettori, che  agiscono  per  conto  dei  comuni  di
 appartenenza.
    Tendono  piuttosto  i ricorrenti in tal modo a evidenziare che, in
 caso  di  buon  esito  del  gravame,  dal  fatto  che  alle  elezioni
 provinciali  di  Trieste  verrebbe applicato l'art. 9, secondo comma,
 della legge n. 122/51 si  avvantaggerebbero,  come  si  cerchera'  di
 dimostrare,  senz'altro  i  comuni  minori,  in  se'  considerati, ma
 altresi', indirettamente, la minoranza slovena stessa.
    Essa, invero, e' attualmente presente, nel complesso dei comuni in
 questione, in percentuale piu' elevata rispetto al comune  capoluogo,
 per  cui, sia pur non agendo gli istanti per suo conto, ma per quello
 dei comuni precitati, vengono a tutelare, con  il  presente  ricorso,
 per  quanto in via indiretta, anche un particolare interesse, che non
 puo' considerarsi diverso ed ultroneo, rispetto a quelli protetti dal
 citato art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51, ma va, nel  caso
 specifico, tra essi annoverato.
    Questa  norma, non estesa alla provincia di Trieste, mira, come si
 e' visto, a dare maggior rappresentativita' agli interessi dei comuni
 minori nel consiglio provinciale, assicurando loro,  tendenzialmente,
 una rappresentanza piu' che proporzionale.
    Nel  caso  concreto  della  provincia  di Trieste essa assicura un
 vantaggio anche alla parte  della  minoranza  slovena,  residente  in
 detti  comuni,  come  naturale  conseguenza  della  probabile maggior
 rappresentanza di tutti gli elettori dei comuni  stessi  e  non  come
 interesse tutelato in se'.
    I  ricorrenti ritengono pero' di sottolineare tale profilo poiche'
 l'atto  commissariale,  di   cui   si   richiede   venga   dichiarata
 l'illegittimita'   costituzionale,   mirerebbe  proprio,  nella  loro
 prospettazione, a colpire la minoranza in questione, per cui essi  ne
 deducono  l'incostituzionalita',  fra  l'altro,  anche per violazione
 dell'art. 6 della Costituzione.
    1.8. - Qualificati, nel modo finora esposto, la  legittimazione  a
 ricorrere  e  gli interessi fatti valere, va affrontata la questione,
 posta  dalla  difesa  erariale,  dell'attuale  vigenza  dell'art.  9,
 secondo comma, della legge n. 122/51.
    Se  essa,  infatti,  fosse  stata,  come si sostiene, abrogata, le
 proposte questioni di costituzionalita' sarebbero irrilevanti.
    Il collegio, peraltro, ritiene detta tesi sprovvista di  giuridico
 pregio.
    Osserva,  in  primo luogo, che essa non e' condivisa nemmeno dalla
 p.a., che l'avvocatura dello Stato rappresenta, la quale,  convocando
 i  comizi  elettorali  in vigenza della nuova normativa sull'elezione
 diretta del presidente della provincia e del  consiglio  provinciale,
 pur  sempre  richiama  il  decreto commissariale che fissa la tabella
 delle circoscrizioni dei collegi uninominali "in  forza  del  decreto
 del  commissario  generale  del Governo italiano per il territorio di
 Trieste n. 81 del 24 marzo 1956".
    Del resto e' lo stesso art. 9 della  legge  n.  93/81,  richiamato
 dalla difesa erariale a sostegno della sua tesi, a disporre, al primo
 comma,  che  attraverso  il  decreto  prefettizio di convocazione dei
 comizi elettorali, che richiama, quali  presupposti,  il  piu'  volte
 citato  "l'elezione  dei  consiglieri provinciali e' effettuata sulla
 base di collegi uninominali e secondo le disposizioni  dettate  dalla
 legge  8  marzo  1951,  n. 122 e successive modificazioni", in quanto
 compatibili con il precedente art.  8  e  con  gli  altri  commi  del
 medesimo art. 9.
    Tali  disposizioni, ed in particolare i commi dal terzo all'ottavo
 dell'art. 9, introducono rilevanti  novita'  sulla  ripartizione  dei
 seggi  fra  i  vari  gruppi di candidati e le loro coalizioni, ma non
 sulla ripartizione delle circoscrizioni dei collegi uninominali,  che
 permangono, fra comune capoluogo e comuni minori.
    Ne  rimane  confermata  la perdurante vigenza dell'art. 9, secondo
 comma, della legge n. 122/51.
    Da cio' consegue che la sua mancata estensione al territorio,  ora
 provincia  di  Trieste,  ad  opera  del decreto commissariale, che ne
 occupa,  continua,  pur  nelle  rilevanti  novita'  introdotte  dalla
 recente  legislazione,  a  porre  in  posizione deteriore, rispetto a
 quella nazionale, i locali comuni minori.
    A  detti  comuni,  infatti,  altrove  e'  pur  sempre   garantita,
 applicandosi   integralmente   il   citato   art.  9,  a  parita'  di
 distribuzione  dei  voti  fra  gruppi  di  candidati,   una   maggior
 probabilita'  di  vedere  eletti  propri  rappresentanti,  essendo  i
 collegi posti nel loro territorio piu' numerosi  e  di  piu'  piccola
 dimensione,  rispetto  alla  popolazione  residente, nei confronti di
 quelli del comune capoluogo, per cui e' obiettivamente  piu'  facile,
 almeno  in via tendenziale, che, nei vari gruppi di candidati, quelli
 presenti in detti collegi,  sia  in  liste  collegate  al  Presidente
 eletto  sia  in  quelle  ad esso avverse, conseguano una piu' elevata
 cifra  individuale,  pur  sempre  rilevante,  ceteris  paribus,   per
 l'elezione.
    Tale  maggior probabilita' e' invece negata ai comuni minori della
 provincia di Trieste, per  effetto  del  decreto  commissariale  piu'
 volte  citato  e  per effetto, nell'indetta consultazione elettorale,
 degli ulteriori provvedimenti amministrativi impugnati, che  ad  esso
 danno applicazione nel caso de quo.
    1.9.  -  Per  tutte  le  considerazioni  che  precedono le dedotte
 questioni di costituzionalita' vanno  considerate  rilevanti  per  la
 decisione del giudizio a quo.
    2.1.  -  Fra  le questioni sollevate alcune sembrano, peraltro, al
 Collegio manifestamente infondate.
    2.2. - In primo luogo lo e' la  contestazione  della  legittimita'
 costituzionale  del  potere  del  commissario generale del Governo di
 modificare le disposizioni legislative italiane, estese al territorio
 di Trieste, in quanto sprovvisto di poteri legislativi legittimamente
 delegati al Governo stesso ex art. 77 della Costituzione.
    Invero l'art. 70 della legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1, con  cui
 e'  stato  approvato lo Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
 Giulia, ha infatti  non  solo  trasferito  pro  futuro  alla  regione
 stessa,  al  prefetto della provincia di Trieste e al commissario del
 Governo  nella  regione  Friuli-Venezia  Giulia  i  poteri  gia'   di
 competenza   del   commissario   generale,   ma  ha  altresi'  inteso
 convalidare retroattivamente l'esercizio  di  poteri  legislativi  da
 parte di detto commissario (cfr. C. cost. 23 giugno 1964, n. 53).
    2.3.  -  Del  pari  manifestamente  infondata  appare  la  dedotta
 violazione  dell'art.  6  Cost.,   erroneamente   interpretato   come
 disposizione  onnicomprensiva  di tutela delle minoranze linguistiche
 e, nel caso, della minoranza slovena.
    La  disposizione  in  questione  invece  impegna  e  autorizza  la
 Repubblica,   nelle   sue   varie  articolazioni  -  Stato,  regioni,
 provincie,  comuni  -  ad  emanare  "apposite  norme",  di  carattere
 pertanto  legislativo  o  regolamentare,  a  seconda della rispettiva
 competenza,  a  tutela delle anzidette minoranze ed appare, pertanto,
 estranea alla fattispecie controversa.
    Le  eventuali   discriminazioni,   prospettate   dai   ricorrenti,
 riferibili  all'attivita'  legislativa del commissario, nei confronti
 della minoranza slovena rientrano, invero, nel campo di  applicazione
 dell'art.   3   della  Costituzione,  che  tutela  l'eguaglianza  dei
 cittadini di fronte alla legge senza  distinzione,  fra  l'altro,  di
 lingua.
    2.4. - Non sembra, invece, al collegio manifestamente infondata la
 dedotta  violazione  proprio dell'art. 3 della Costituzione, sotto il
 profilo, gia' piu' volte sottolineato nella narrativa in  fatto,  che
 il  decreto  n.  81  dd.  24  marzo 1956 del commissario generale del
 Governo  italiano  per  il  territorio  di  Trieste,  non  estendendo
 integralmente  a  detto  territorio l'art. 9 della legge n. 122/51 ma
 omettendo di recepirne  il  secondo  comma  e  riservando  a  se'  di
 stabilire la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per
 le  elezioni  provinciali,  abbia,  senza plausibile giustificazione,
 differenziato  in  peius  la  condizione  dei  comuni  della  attuale
 provincia  di  Trieste diversi dal capoluogo, e per essi quella degli
 interessi dei loro cittadini elettorali, rispetto a quella di tutti i
 comuni minori del restante territorio  nazionale,  nell'elezione  del
 consiglio provinciale.
    Come  si  e'  gia' esposto in fatto l'art. 9, secondo comma, della
 legge n. 122/51 vincola l'autorita' amministrativa che, a' sensi  del
 successivo  quarto  comma,  sara'  chiamata  a predisporre la tabella
 delle circoscrizioni dei collegi  uninominali,  a  non  assegnarne  a
 nessun  comune,  per  quanto  popoloso,  piu'  della  meta' di quelli
 assegnati alla provincia.
    Nei confronti di detto comune, ordinariamente il capoluogo, quelli
 minori godono percio', di un numero di collegi proporzionalmente piu'
 ampio rispetto alla popolazione residente, formati, pertanto,  da  un
 numero inferiore di elettori.
    Sotto  entrambi  i  profili,  dal momento che la cifra individuale
 ottenuta dai candidati alle elezioni provinciali e'  determinata  dal
 rapportare  in  percentuale,  rispetto  al  totale  dei  voti  validi
 espressi nel collegio, i voti validi ottenuti da  ciascun  candidato,
 tale  disposizione  avvantaggia  quelli  che si presentano nei comuni
 minori.
    Nei collegi di tali comuni la stessa cifra individuale puo' essere
 ottenuta con un minor numero di voti e,  per  giunta,  rapportati  al
 numero  degli elettori, tali collegi sono presenti in numero piu' che
 proporzionale.
    Attraverso  tali  meccanismi  la  norma,  a  parita'  delle  altre
 condizioni   (appartenenza   dei   candidati  all'una  piuttosto  che
 all'altra lista, sistema di votazione ecc.) continua a  corrispondere
 alla  sua  ratio,  che  e', come giustamente sostengono i ricorrenti,
 quella  di   garantire,   almeno   tendenzialmente,   nel   consiglio
 provinciale  una  adeguata  rappresentanza  dei comuni meno popolosi,
 affinche' esso non sia pressoche' esclusiva espressione  del  comune,
 solitamente il capoluogo, con maggior numero di elettori.
    Del  tutto  concordemente  le parti ammettono che, in seguito alle
 modifiche all'art. 9  introdotte  dal  commissario  generale  con  il
 decreto,  di  che  trattasi,  l'elezione del consiglio provinciale di
 Trieste avviene in condizioni del tutto diverse, dal momento  che  ai
 comuni  minori  e'  stato assegnato un numero di gran lunga inferiore
 alla meta' dei collegi (dal 1983 3 su 24) e che il  consiglio  stesso
 risulta,  senza variazioni significative da un'elezione all'altra, in
 grandissima prevalenza composto da consiglieri eletti nel  comune  di
 Trieste.
    Divergono peraltro sulle cause di tale indubbia differenza, che e'
 del  tutto  giustificata,  a parere delle amministrazioni resistenti,
 dalla anomala  sproporzione  che,  nella  provincia  di  Trieste,  si
 sarebbe verificata, dopo le mutilazioni territoriali conseguenti agli
 eventi bellici, fra la popolazione del capoluogo, pari all'85/86% del
 totale, e quella degli altri comuni.
    Di  tale  realta'  l'atto  normativo  commissariale in discussione
 avrebbe preso doverosamente atto, onde non privilegiare oltre  misura
 gli  elettori  dei  comuni  minori,  adeguando  la rappresentanza nel
 Consiglio provinciale alla  situazione  obiettiva,  senza  intenzioni
 discriminatorie.
    Tale prospettazione non persuade il collegio.
    Non  e'  dato  invero  comprendere perche' solo nella provincia di
 Trieste si dovrebbe tendere a conformare il consiglio  provinciale  a
 criteri  che,  nel riparto dei collegi uninominali fra i vari comuni,
 possono essere  detti  di  rappresentanza  proporzionale,  quando  la
 legislazione  nazionale  adotta  il criterio opposto, cioe' quello di
 una rappresentanza tendenzialmente piu' che proporzionale dei  comuni
 minori.
    La  parti ricorrenti hanno documentato che anche in altre province
 si verifica una significativa sproporzione  fra  la  popolazione  del
 capoluogo  e  quella  degli  altri comuni e, nonostante cio', ad essi
 vada attribuita non piu' della meta' dei collegi.
    Particolarmente significativi appaiono al collegio gli  esempi  di
 Genova, che con il 72% della popolazione si vede assegnati 18 collegi
 su  36  e di Roma, che con quasi il 75% della popolazione conta su 22
 collegi su 45.
    E' vero che nessuno di questi capoluoghi raggiunge la  percentuale
 di  Trieste, ma non vede il collegio dove possa essere individuato ed
 in base a  quale  disposizione,  nell'ambito  di  una  normativa,  si
 ripete, ispirata a un chiaro favor nei confronti della rappresentanza
 dei  comuni minori, il break even point a partire dal quale la deroga
 alla normativa valida per tutti gli altri e' autorizzata  e  ritenuta
 non discriminatoria.
    In  altri  termini  puo'  essere  rinvenuto  un  dato percentuale,
 superando il  quale  e'  costituzionalmente  legittima  la  segnalata
 disparita' di trattamento?
    Il collegio ritiene che, nel silenzio della legge e nell'eloquenza
 delle   cifre,  che  dimostrano  come  anche  altrove  l'applicazione
 dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51 privilegi,  in  via
 tendenziale,  grandemente  i  comuni  minori,  non  sia plausibile la
 spiegazione, sostenuta dalle amministrazioni resistenti, circa la ra-
 tio  della  disposizione  commissariale  in  discussione  e  non  sia
 comunque  sufficiente  a ricondurre entro parametri di ragionevolezza
 l'indubbia discriminazione, da esso operata.
    Pur  nella   differenza,   peraltro   non   significativa,   delle
 percentuali, il caso di Trieste non si differenzia da quello di altri
 capoluoghi, in cui si concentra la gran parte della popolazione della
 Provincia  in  modo  tale,  da  far  ritenere  che  si tratti di casi
 diversi, giustamente trattati diversamente dalla legge.
    2.5.  - L'esame della norma induce il collegio altresi' a ritenere
 che la  sua  ratio  sia  ben  diversa  da  quella  prospettata  dalle
 amministrazioni resistenti.
    Invero,  rispetto  al  testo  dell'art.  9  della legge n. 122/51,
 quello del decreto in questione introduce  differenze,  che  appaiono
 significative, se lette nel loro combinato disposto.
    La  fissazione  della  tabella  delle  circoscrizioni  dei collegi
 uninominali appare infatti attribuita al commissario stesso.
    L'autorita' amministrativa pero' agisce in tale campo, non  avendo
 il  decreto riprodotto il secondo comma del citato art. 9, in assenza
 di qualsiasi limitazione.
    Cio' significa che la novita' sostanziale dell'atto  commissariale
 sta   nell'aver   totalmente  rimesso,  nel  territorio  di  Trieste,
 all'arbitrio  dell'autorita'  amministrativa   la   decisione   sulla
 ripartizione  dei  collegi  fra i comuni, privando, come si e' detto,
 quelli minori della garanzia di averne sul proprio territorio  almeno
 la  meta', assicurata dal precitato art. 9, secondo comma, agli altri
 comuni, diversi da quello piu' popoloso, nel resto d'Italia.
    Cio' significa altresi' che il fatto di aver riservato soltanto ad
 un organo,  espressione  diretta  del  Governo,  i  poteri  in  cosi'
 delicato   settore,   pertinente   alla  materia  elettorale,  depone
 indubbiamente a favore dell'interpretazione dei  ricorrenti,  secondo
 cui  ragioni di carattere etnico - politico, cosi' come esposto nelle
 premesse  di  fatto,  piuttosto  che  esigenze  di   buon   andamento
 amministrativo,   stiano   alla   base  della  difforme  legislazione
 esistente a Trieste, rispetto al resto del territorio nazionale.
    Basti osservare che  tale  particolare  normativa  rende  in  se',
 indipendentemente  cioe'  dal  fatto che in concreto si sia avvalso o
 meno di tale opportunita', possibile al Governo, di  influire,  nella
 vigenza   della  disposizione  denunciata,  sull'esito  stesso  delle
 elezioni provinciali a Trieste, con la  modifica,  a  mezzo  del  suo
 organo,  della tabella delle circoscrizioni dei collegi, attuabile ad
 libitum, senza la remora posta dalla garanzia  a  favore  dei  comuni
 minori, di cui ripetutamente si e' detto.
    Non  e'  soltanto  rilevante,  peraltro,  in  questa  sede,  detta
 considerazione, quanto piuttosto quella che nessun  legittimo  motivo
 appare  giustificare  la preterizione di un vantaggio, assicurato per
 legge  in  tutto  il  territorio  della  Repubblica  agli  interessi,
 rappresentati  nei  comuni  minori,  sostituendovi, con il contestato
 decreto, l'illimitata discrezionalita' dell'amministrazione.
    3. - Essendo stata ritenuta  rilevante  ai  fini  della  decisione
 dell'istanza cautelare in esame e non manifestamente infondata, per i
 motivi   e   nei  limiti  sopra  esposti,  la  dedotta  questione  di
 illegittimita' costituzionale il collegio dispone la sospensione  del
 giudizio  e  la  remissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale,
 affinche' si pronunci in proposito.